L’affascinante teoria pitagorica sul suono emesso dal moto errabondo dei pianeti nel cosmo.
Era idea diffusa, tra i #pitagorici del mondo antico, che i pianeti producessero dei suoni di straordinaria intensità, per via della loro alta velocità e della loro immensa mole. Se ci guardiamo attorno infatti vediamo che i corpi urtano tra di loro ed ogni urto è in grado di produrre un rumore. Alcuni di essi non sono udibili per la debolezza dell’urto, altri per la grande distanza del punto in cui ha avuto luogo l’urto da chi ascolta. Urti rapidi e forti producono suoni acuti, urti lenti e deboli producono suoni gravi.
Se si osserva poi il modo in cui funziona un flauto ci si accorge che il soffio emesso dalla bocca, quando raggiunge i fori a lei più vicini, il forte impeto con cui esce l’aria produce un suono più acuto; quando invece giunge ai fori più lontani, il suono emesso è più grave. Da ciò se ne deduce che il movimento rapido dà vita ad un suono acuto mentre un movimento lento rende il suono grave.
Questa era la conoscenza in possesso dei #pitagorici, frutto di osservazioni di fenomeni terreni, che li aveva spinti ad applicare le medesime leggi anche ai corpi celesti. Poiché ogni pianeta si muove nel cosmo con diverse velocità, è in grado di produrre un suono diverso. I corpi celesti più vicini, come la Luna, ruotano più lentamente e producono suoni più gravi rispetto a quelli più lontani, che si muovono a velocità più elevate. I pitagorici sapevano bene inoltre che la musica è fatta di proporzioni matematiche e che l’armonia dei suoni deriva proprio dalle precise proporzioni esistenti nelle scale musicali. Era infatti ben noto fin dai tempi di #Pitagora (si deve proprio a lui questa scoperta) che l’altezza dei suoni prodotti dalle corde pizzicate era direttamente legata alla lunghezza delle corde stesse. Ora, siccome nella concezione pitagorica della struttura cosmica esistevano precise proporzioni tra le distanze reciproche delle sfere celesti, i suoni prodotti dai pianeti creavano un’armonia, come quella che si crea quando si suonano più note di uno stesso accordo.
"Ogni pianeta era in grado di produrre un suono e assieme creavano un'armonia di suoni celesti."
Ma se i pianeti producono suoni, come mai non li sentiamo? I #pitagorici avrebbero risposto che questo suono ci accompagna fin dalla nascita e che ne siamo assuefatti. Scrive #Aristotele nel “De caelo”:
“Ma poiché sembrerebbe strano che noi non sentissimo questo suono, dicono (i pitagorici) che la causa di ciò è che esso esiste già al momento in cui nasciamo, sicché non è reso percepibile dal contrasto col silenzio”.
Insomma, in qualche modo ci siamo abituati e non riusciamo più a percepirlo; siamo diventati sordi alla sinfonia celeste, un po’ come Quasimodo è diventato sordo a furia di ascoltare l’intenso rumore delle campane della cattedrale di Notre-Dame.
Questa idea della musica celeste è affascinante ma non corrisponde a verità. Già #Aristotele l’aveva scartata:
“L’affermazione che dal moto degli astri si generi armonia, in quanto i rumori da essi prodotti sarebbero tra loro consonanti, è una trovata graziosa e originale, ma non corrisponde al vero.”
Il rumore legato al movimento dei corpi è prodotto dall’attrito; nella concezione aristotelica del cosmo i pianeti, erano conficcati in sfere rigide che si muovevano attorno alla Terra immobile; i pianeti erano così trasportati dalla loro sfera di appartenenza come un oggetto poggiato su una nave il quale, essendo fermo rispetto alla nave, non produce alcun rumore.
Aggiunge #Aristotele che corpi celesti così grandi dovrebbero produrre suoni con una violenza d’intensità straordinaria, nonostante la grande distanza; suoni del genere dovrebbero non solo essere udibili ma produrrebbero anche effetti visibili come tremori e vibrazioni nei corpi solidi, così come il fragore del tuono in grado di spaccare le pietre e i corpi più resistenti.
In chiave moderna diremmo semplicemente che i pianeti non producono alcun suono perché si muovono in uno spazio vuoto, per cui non c’è alcun fenomeno d’attrito che possa generare suoni e soprattutto non c’è alcun mezzo materiale nel quale il suono possa propagarsi (il suono nello spazio vuoto non esiste). Come spesso accade in scienza, la risposta più semplice finisce per essere anche la più corretta.
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