L'indecifrabile scorrere del tempo durante la prigionia di Winston in 1984 di Orwell.
"Non mangiava da ventiquattro ore, o forse da trentasei ore. Ancora non sapeva - e probabilmente non l'avrebbe saputo mai - se quando lo avevano arrestato era mattino o sera."
Winston si trova improvvisamente catapultato in una situazione anormale: imprigionato in una cella nella quale perde ogni riferimento. Non è più in grado di dire dove si trova e non è più in grado di misurare lo scorrere del tempo.
"Non sapeva per quanto tempo ci fosse rimasto. Per delle ore, ad ogni buon conto: senza orologi e privati della luce del giorno, era difficile fare un calcolo del tempo."
Ecco. Per accorgerci del tempo che passa, abbiamo bisogno di osservare qualcosa che cambia, non importa cosa: il sole che si muove nel cielo, l'intensità mutevole della luce che filtra da una finestra, le lancette di un orologio che si spostano. Se poi quello che osserviamo ci è familiare, allora è più facile avere una buona stima del tempo trascorso, anche in assenza di un vero e proprio strumento di misura. Per Aristotele il tempo è la misura del cambiamento; si parla di tempo solo quando abbiamo la possibilità di osservare qualcosa che muta.
Per misurare il tempo abbiamo bisogno di riferimenti e se non li abbiamo, dobbiamo crearceli. Galileo Galilei era molto interessato alla misura del tempo per comprendere la natura della caduta dei gravi. Grazie al suo piano inclinato, stava infatti cercando di capire in che modo i corpi vengono attratti verso il centro della Terra. Ma come misurare il tempo di caduta dei corpi? Galileo cercò di aggrapparsi a fenomeni che mutavano con una certa regolarità, un cambiamento che permetteva di essere conteggiato in qualche modo. Cercò quindi di appoggiarsi ai battiti del cuore, allo stillicidio dell'acqua che sgocciola dal fondo forato di un recipiente, al canto di una canzone ritmata sempre nello stesso modo. In mancanza di riferimenti, il tempo diventa una grandezza non più misurabile. Questa sensazione straniante di atemporalità viene ben descritta nell'ultima parte dell'opera dispotica 1984 di George Orwell.
"Winston, imprigionato al Ministero dell'Amore, non riesce ad avere una corretta percezione del tempo."
Il protagonista, Winston, che tenta di ribellarsi al sistema oppressivo imposto dal partito al governo, viene scoperto e incarcerato. Da qui comincia una serie di pagine tra le più interessanti ed accattivanti che io abbia mai letto. A più riprese, l'autore sottolinea il disorientamento temporale del protagonista, che continua a non riuscire ad avere una corretta percezione del tempo.
"In questo posto non c'è alcuna differenza fra il giorno e la notte. Non riesco proprio a capire come si possa calcolare il tempo."
È molto interessante l'operazione condotta da Orwell: Winston non capisce chiaramente cosa stia succedendo. È molto difficile per lui decifrare correttamente quello che avviene nella sua cella: vede compagni che appaiono in condizioni pessime per poi andare via poco dopo, accompagnati dai carcerieri. non sa chi siano, perché sono comparsi e dove siano poi andati. La continua ripetizione di frasi come quelle qui riportate, accresce nel lettore un sensazione di angoscia. Tutti ci sentiamo più sicuri quando riusciamo a riconoscere riferimenti chiari attorno a noi, segni che siamo in grado di decifrare correttamente, informazioni di uno schema che abbiamo già costruito in passato e ci permettono di comprendere il mondo attorno a noi. Quando però tutto cambia in modo drastico e non abbiamo più appigli riconoscibili, ci sentiamo persi.
"Non sapeva assolutamente da quanto tempo si trovasse lì. Dal momento in cui l'avevano arrestato, non aveva visto né la luce né il buio."
È completamente scomparsa la percezione oggettiva del tempo, inteso come una qualcosa che va avanti in maniera del tutto indipendente da noi e che ci è esterno. Il tempo assoluto di Newton, che esiste indipendentemente dalla presenza o meno di corpi materiali, per Winston non esiste più. Può solo fare affidamento sulla sua esperienza per fornire delle stime più o meno ragionevoli.
"Non riusciva a ricordare quante sedute c'erano state in tutto: aveva l'impressione che l'intero processo andasse avanti da un tempo lungo e indefinito, forse da settimane, e che ci fosse stato solo qualche giorno o addirittura un'ora o due di intervallo fra una seduta e l'altra."
Poi, improvvisamente, il tempo comincia timidamente a ricomparire grazie ad un evento che sembra ripetersi in modo regolare.
"Erano passate settimane o forse mesi. Ora avrebbe potuto tenere un conto esatto del tempo che passava, ammesso che ne avesse avuto l'interesse, visto che gli somministravano i pasti, a quanto sembrava, a intervalli regolari."
L'arrivo dei pasti assume lo stesso ruolo del ciclico moto del sole o delle lancette dell'orologio: un moto regolare che scandisce il tempo e che offre a Winston la possibilità di una sua misura numerica. Il tempo si misura sempre sulla base di qualche cambiamento o evento ciclico: parliamo tutti di giorno (un giro della Terra su se stessa), di ora (un giro completo della lancetta delle ore), ecc... Ogni nostra misura di tempo fa riferimento a qualche cambiamento regolare e ciclico. Winston, che non ha accesso a strumenti meccanici e non può osservare la luce esterna, può solo fare affidamento ai pasti: lui non può parlare di giorni o di ore ma di pasti.
Orwell è molto bravo a giocare anche sul linguaggio (lo fa in tutta l'opera con la neolingua). Siamo tutti abituati a parlare del tempo secondo schemi prestabiliti ma quando questi decadono, il linguaggio non ci supporta più e finiamo per fare uso di termini familiari che male si addicono alla situazione in cui ci troviamo.
"Un giorno - ma "un giorno" non era l'espressione giusta, poteva essere benissimo notte -, una volta ebbe una sorta di visione strana e piacevole."
Cosa sia veramente il tempo, nessuno lo sa. La nostra esperienza ci parla di un flusso continuo che non si può fermare e che misuriamo osservando fenomeni che mutano. Winston, rinchiuso e torturato nelle stanze chiuse del Ministero dell'Amore, non seppe più tenere il conto del tempo.
Alessandro: ottima riflessione!
Forse dovremmo più spesso soffermarci sul significato del nostro CREDO. M.Vaglieco